• Nessun prodotto nel carrello.

3 semi

Ieri sera all’Auditorium Conciliazione il Progetto Dreyfus, think tank dedicato all’ebraismo e ad Israele, ha presentato l’evento ‘Je suis Ilan’. Una puntata speciale di ‘Virus’, format di rai due, è stata registrata per dibattere sul tema dell’antisemitismo in occasione dell’anteprima del film ‘24 jours, la vérité sur l’affaire Ilan Halimi’, del regista Alexandre Arcady.
Ilan Halimi era un ragazzo di 24 anni, impiegato in un negozio di telefonia e figlio di una famiglia modesta. Era ebreo.


E’ stato rapito nel 2006 a Parigi e tenuto ostaggio per 24 giorni, in un appartamento di un palazzone di borgata, dalla ‘banda dei barbari’ che lo hanno percosso, torturato e tenuto legato e bendato con la minima razione di viveri per 3 settimane.
L’obiettivo di questo branco, composto da ragazzi e ragazze dai 15 ai 35 anni, era quello di ‘pescare un ebreo qualunque’, perché si sa, ‘gli ebrei sono ricchi e si aiutano tra loro’.
L’obiettivo del loro capo, Youssouf Fofana, di punire un essere inferiore.
Parlarvi delle atrocità, delle assurdità, del dolore urlato sullo schermo di sopravvivere ad un figlio per il fato beffardo di un giorno d’inverno sarebbe troppo faticoso e dilaniante.
Disquisire sulla diatriba ‘antisemitismo come piaga pericolosa, costante, sottesa a tutte le ere e sorella degli altri fondamentalismi’ o come ‘ideologia da stadio a presa facile di sacche di ignoranza e povertà suburbana’, sarebbe fuori luogo per il mezzo.
Vi lascio vedere il film questa sera alle 21:10 su Rai2 e seguire la puntata di Virus. E riflettere ognuno nella sua intimità.
Io, invece, anche oggi, che mi sono svegliata rintronata da uno schiaffo ancora caldo sulla faccia, anche nella nebbia, voglio mantenere la bussola di questa luce che si chiama Bellezza.
E quindi vi lascerò solo 3 istantanee.
Quella dell’Imam Hassen Chalgoumi, che ormai vive sotto scorta per aver pronunciato parole di vicinanza, sostegno, civiltà e dialogo con la comunità ebraica, e che ieri sera ha ribadito di voler continuare a promulgare questa sua testimonianza non solo come cittadino francese, non solo come arabo, ma soprattutto come Padre. Padre di figli che immagina vivi, al sicuro e forti del coraggio del confronto e non della forza del conflitto.
Quella del filosofo Bernard-Henri Lévy che difronte ad una platea incantata e silente ha lanciato un monito tanto dolce quanto imponente.
‘C’est le mot qui sauve’. E’ la parola che salva. Perché la parola è consapevolezza, è verità, è identità, è responsabilità, con se stessi prima, e con gli altri poi.
E infine, quella di Ruth Halimi, la madre di Ilan, che è salita sul palco piccola e forte come un sasso di granito e ha parlato di suo figlio. Ruth che è sopravvissuta, nonostante tutto. Ruth che continua a lavorare, a crescere la sua famiglia, a raccontare il suo dolore.
Ruth che un giorno ha detto ‘SE ESISTESSE IL RISPETTO, QUESTE COSE NON SUCCEDEREBBERO’.
Io oggi in mezzo a tanta barbarie voglio riconoscere questi 3 semi e piantarli.
Come un regalo di bellezza, come progetto di salvezza.
Ricorderò ai miei figli che chiunque incontrino nella vita è prima di ogni altra cosa che appaia, un essere umano, che è a sua volta un figlio, un padre, un fratello.
Che non c’è nodo tanto mostruoso che la parola non possa risolvere.
Che il rispetto e l’accoglienza, di sé e degli altri, sono la cura di ogni male.
Buona visione.

0 responses on "3 semi"

Rispondi

© 2014 BWSTW | BEAUTY WILL SAVE THE WORLD.
X