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E’ tutta una questione di ottiche.
Me lo ricorda la fotografia ma me lo insegna la vita.
Qualche giorno fa ho deciso di dedicarmi una giornata e soddisfare un languorino dell’anima che si faceva sentire.
La mattina ha portato l’oro in bocca e mi ha suggerito: oggi si va al MAXXI a vedere ‘Bellissima. L’Italia dell’alta moda 1945 – 1968’.
Faceva veramente freddo, ma quando il sole ce l’hai dentro non fa tanta differenza e quindi mi sono imbarcata con gli unici strumenti indispensabili a una tale traversata: sana pazienza, buona musica nelle orecchie e voglia semplicemente di seguire il flusso.
Quand’è così anche 1 ora e mezza di viaggio da casa ti sembrano volare.
Roba che a dirlo ti chiedi se non hai fatto male i calcoli e se ci vuole veramente quanto arrivare a Firenze con l’alta velocità.
Invece quando arrivi non hai neanche finito la tua playlist preferita, di respirare l’azzurro-inverno del cielo di Roma e di sbirciare le vite dei pendolari del martedi, con quello sguardo sornione di chi, almeno oggi, sa qual è il segreto della felicità.
L’ingresso di un museo nei giorni feriali a me sembra sempre la porta di una stanza ultraterrena, da aprire con cura e onorare con i rituali di chi partecipa fortuitamente a qualcosa di più grande, così grande che c’è ma non sempre si vede.
La luce, il silenzio, i movimenti: c’è un non so che di sospeso, di distaccato dal materialismo reale della settimana lavorativa. Una cosa tipo: sì, è martedi e sono le 11:30, la città brulica ed è l’ora della pausa caffè tra un devi-fare e un altro. Ma qui è tutta un’altra storia.
Sarà per questo che mi viene di spogliarmi.
Cioè io, soprattutto d’inverno, vorrei appendere cappotto, borsa, computer e tacchi, e andare in giro solo con gli occhi. Se mi viene magari fluttuare. Ma mi accontenterei anche semplicemente di camminare. Però leggera. Insomma senza dovermi ricordare per una o due ore del mio corpo, delle mie cose, delle mie appendici. Vorrei essere asciutta, come una spugna pronta a gonfiarsi.
Però aimè, mi sa che non è un istinto tanto comune, perché il guardaroba non l’ho trovato e quindi ho deambulato tipo bestia da soma riposando le membra ogni tot dal fardello dei complementi di stagione.
In realtà mi è anche venuto l’istinto di andare a chiedere alle ben 3 hostess di piantone all’esposizione se per caso avessero nel loro mansionario il compito di censurare scatti fotografici ai modelli.
Più che altro per interrogarle su come pensassero che uno avesse se non la fantasia proprio gli arti necessari ad articolare il tutto.
Poi però le ho viste capo chino su facebook e quindi mi sono detta che forse quel piglio censorio non veniva loro neanche richiesto.
Tornando alla parte sognante di me.
Salire al terzo piano del Maxxi e imboccare il corridoio per l’ala ovest è uno spettacolo che vale da solo il biglietto.
Penso che mi abbia fatto l’effetto che farebbe a un bambino, rigorosamente maschio, il finger d’accesso ad un caccia ad accelerazione G.
Una roba dell’altro mondo.
Prospettiva in salita. Colori e linee che calmano. BELLISSIMA scandito elegantemente come un invito.
A me la bellezza emoziona.
L’armonia mi fa sorridere dentro. Mi schiude.
Quando entri capisci che un abito è un’opera d’arte.
E che la nostra terra ha una favola meravigliosa da raccontare, impermeabile alle imitazioni e alla minaccia di finire.
Sulle prime non sai dove girarti. Da dove cominciare.
O forse questa sono solo io, come una bambina nel paese dei balocchi, che mangia con gli occhi e rimanda la scelta.
Sulle seconde invece non sai dove girarti perché non si capisce proprio.
A sinistra 3 gigantografie di esimi fotografi di moda.
A destra un piedistallo immenso di modelli e accessori.
Di fronte a te una stampa che in un esercizio di stile molto ben eseguito dice che ‘questa non vuole essere una rassegna dei prodotti del design italiano da un certo periodo a un altro’ ma piuttosto è ‘una rassegna dei prodotti del design italiano da un certo periodo a un altro’.
Secondo quale metro o selezione non è dato sapere.
Vabbè, ma non fa niente.
Cotanta beltà merita di soprassedere sulle esecuzioni e di assolvere appieno le intenzioni.
Allora gambe in spalla e via tuffiamoci in questo acquario di stile sospeso a 20 metri di altezza.
Io ammetto che ammirare una Bagonghi originale di Roberta di Camerino, riconoscere un cappotto Biagiotti dalla sua inconfondibile nuance e dal suo taglio, perdersi nella visione pioneristica di una abito Capucci o contemplare devotamente la sartorialità fuori dal tempo di un Valentino può non toccare le corde di chiunque.
Ma sono convinta che chiunque rimarrebbe incantato come di fronte ad una magia dalla solennità che tutti insieme questi manufatti acquistano.
Non è questione di conoscerli o ri-conoscerli.
Si tratta di percepirne l’impatto, quello che hanno avuto e continuano ad avere nell’immaginario collettivo prima di un popolo, e poi degli altri che a quel popolo guardano per ispirarsi.
E’ come entrare in una chiesa.
Puoi credere o no.
Ma respiri la fede, l’adesione inscalfibile di una collettività ad un messaggio, ad un disegno, ad un progetto.
E tanta passione, tanta energia non puoi non rispettarle.
Checchè ne dica il premierato di Renzi, ti ricordi con orgoglio che sì, siamo un popolo di Latin Lovers, Pizza Makers, Party Addicts e……..Fashion Designers, Vogue Masters o qualsiasi altra locuzione anglo maccheronica si voglia trovare (….basta che non sia ‘gesticulator’ però vi prego, a tutto c’è un limite!).
Ti perdi nella luce di un ricamo e trascorri un istante di quelle ore e ore che sono state il tempo di mani attente, e chiacchiericcio, e occhi stanchi e giornate di lavoro finite e poi ricominciate.
Ti incanti a sentire la voce delle Sorelle Fontana, mentre guardi un nastro di repertorio dell’archivio Luce, una voce che sa di compostezza, di espressioni lontane e nobili come una storia che non ti ricordi ma cui appartieni con fierezza, di un mondo senza fronzoli, senza sovrastrutture, senza riflettori né posticci, senza eccessi né voyerismi.
Un mondo quasi semplice, nudo, ai minimi termini del confezionamento. E per questo perfetto, come un’opera d’arte. Fatto di artigianato e saper fare, di abilità e cose da toccare, e ammirare, e apprezzare. Ancor prima di venderle.
Ti scopri a sorridere leggendo gli inviti autografi per le prime sfilate o kermesse di moda, e ancor più le risposte sollecite e sentitamente gentili di chi avrebbe partecipato.
E non importa se tutto questo avviene con grande difficoltà di lettura visto che le placche descrittive di ogni pezzo sono sospese a 1 metro e mezzo di altezza e in orizzontale rispetto alla visuale dei visitatori tanto da rendere quasi impossibile lo sporgersi.
Non importa se hai l’impressione che un certo quantitativo di items di repertorio sia stato fortuitamente ritrovato in qualche collezione privata dopo lo svuotamento che ne so, di una villa nobiliare d’epoca, e sia stata colta l’occasione per tirarci su una mostra.
Non importa se pensi che, anche in questo caso, avrebbero pure potuto farlo il piccolo sforzo di creare un fil rouge tra fotografie, abiti, giornali e video cedendo alla bieca e banalissima tentazione borghese di dare un CONTESTO cognitivo al tutto. La storiografia non sarà glamour però un po’ aiuta.
Tutto questo non importa perché oggi è una giornata perfetta.
L’anima aveva fame e quando in menù c’è la Bellezza, anche se scoordinata, l’anima vola.
Oggi l’importante è aver sentito buona musica.
Osservato la vita passare.
Aver riempito gli occhi di cose belle.
E c’è ancora il brunch da degustare, a pochi passi, nel bistrot del MAXXI, dove aprire il computer e iniziare a combinare qualcosa ti sembrerà la ciliegina più perfetta di questa buona torta.
E’ proprio vero.
Dipende dagli occhi con cui si guarda.
E’ tutta una questione di ottiche.
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