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Traviata: finalmente basta brindisi col tè!

Entrare dentro al Mariinsky Theatre è un viaggio già da se.

Lo consigliano tra le 10 cose più belle da vedere a San Pietroburgo.

Così, fermo, vuoto, muto.

Col suo legno color miele e la sua arena stretta e affusolata verso l’alto in una spinta a toccare il cielo.

Sembra un vortice di regale eleganza, di solenne bellezza, un occhio del ciclone nel quale sei al centro per spiccare il volo al paradiso, abbracciata dalle sue balconate.

Potrebbe bastare già questo.

Però mi raccomando, se andate a San Pietroburgo, voi non fatevelo bastare.

Perché andare al Mariinksy a vedere l’Opera, è ancora un’altra storia.

Il 17 giugno ha debuttato ‘La Traviata’ di Giuseppe Verdi di Claudia Solti, regista italo-britannica laureata in Letteratura inglese a Oxford alla sua seconda prova con le rappresentazioni classiche.

Trovo che l’attimo buio e sospeso prima dell’apertura di un sipario sia sempre l’esperienza più vicina a spiegare l’attesa, la trepidazione, l’immaginazione.

Ma quando il sipario si è aperto alla prima de ‘La Traviata’, allora è stata pura magia.

I miei occhi si sono dovuti spalancare per lo stupore, e così sono rimasti fino alla fine.

Ve la immaginate una giostra rosata al centro di un palco, interrotta da tante fessure quante le stanze dentro le quali sbriciare, che mentre ruota in una danza lenta viene tutta animata prima dagli occhi giganti di Violetta che si schiudiono al destino, e poi dai una pioggia di voluttuosi petali di rosa?

Riuscite a pensare a quella giostra che si apre, come lo scrigno di un carillon, per svelarvi il salone incantato di un tempo di sfarzo e festa, e che girando vi porta nelle stanze segrete di un palazzo di dame e cavalieri, drappi e sofà, candelabri e raso?

Sforzandovi, riuscite a concepire Violetta e Alfredo corteggiarsi e rincorrersi tra quelle stanze, in una folle notte di piacere, gioventù ed esuberanza, per poi ritirarsi a godere dell’amore nel secondo atto in una vera e propria gabbia dorata poggiata su un colle rigoglioso d’erba e boccioli sulle sponde di un laghetto?

Se vi dicessi che Giorgio Germont, il padre di Alfredo, darà il via alla tragedia impedendo a suo figlio e Violetta di amarsi proprio mentre fa un giro in barca remando davanti a voi, ci credereste?

E che il rivale in amore, Barone Douphol, è vestito da Karl Lagerfeld e tenterà in tutti i modi di riportare la sua protetta nel mondo di festini proibiti, champagne, cocaina ed eros di cui le coreografie burlesque e i trapezisti appesi al soffitto ben rappresentano i rocamboleschi percorsi emotivi?

Beh, io spero per voi che le vostre risposte siano perenni no.

E con una fame nel cuore possiate soddisfare questo appetito dal vero, un giorno, prima o poi.

Perché l’Opera è tornata, l’Opera è viva, l’Opera ci parla, dopo centinaia di anni, finalmente, di qualcosa di immutato ed eterno. I sentimenti umani.

Lo fa, deo gratias, con i nostri codici visivi, con il nostro linguaggio, portando in scena la nuda verità.

Ma mantenendo intatta la sublime esperienza artistica della musica classica, della lirica, del rituale del teatro.

In una sintesi che non risulta eccessiva, nè volgare, nè spettacolarizzata.

Semplicemente bella, efficace, perfetta.

L’opera è tornata ad essere ciò per cui è nata. Un’esperienza d’arte che parla a tutti gli uomini della propria umanità.

Umanità nuda ma non oscena. Perché cantata con soave poesia.

Non ci sono parole per una tale epifania.

Per i fuochi d’artificio delle proiezioni visive di Roberto Vitalini.

Per la sconcertante ideazione dei costumi e della scenografia ad opera di Isabella Bywater.

A volte tutta questa Bellezza è troppa da contenere.

Diventa come un peso sul cuore.

Come una croce.

E solo un’opera poteva rendere sublime anche questa pressione.

‘Sentìa che amore è palpito, 
dell’universo intero,
 misterioso, altero,
 croce e delizia….croce e delizia……delizia al cor!’

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